In questo articolo esploriamo insieme le frontiere dell’innovazione sociale.
Quando si parla di innovazione, la mente si sposta subito in corrispondenza di quel processo che contemporaneamente crea, determina leadership o sconfitta e distrugge. È ciò che le aziende cercano di fare per essere le numero uno nel proprio mercato e quindi sbaragliare la concorrenza.
Ma cosa succede al termine “innovazione” se lo utilizziamo in ambito sociale? Robin Murray, Julie Caulier Grice e Geoff Mulgan danno una definizione di social innovation nel loro Libro bianco sull’innovazione sociale: “Definiamo innovazioni sociali le nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che soddisfano dei bisogni sociali (in modo più efficace delle alternative esistenti) e che allo stesso tempo creano nuove relazioni e nuove collaborazioni. In altre parole, innovazioni che sono buone per la società e che accrescono le possibilità di azione per la società stessa.”
La disponibilità dei prodotti che soddisfano i bisogni sociali oggi è scarsa, e né le grandi aziende private né le amministrazioni pubbliche ne garantiscono la produzione.
Ma quali sono questi bisogni sociali scarsamente soddisfatti? Eccone una breve lista:
· risorse sprecate: prodotti vegetali scartati, consumo di suolo;
· qualità dell’ambiente: salubrità dell’aria nei centri abitati, quantità di sostanze tossiche nei corsi d’acqua;
· sanità: liste d’attesa troppo lunghe per visite importanti;
· problematiche sociali: gestione del flusso di migranti e delle modalità di ospitalità, presenza di strutture adatte ad accogliere persone diversamente abili.
Il mercato della social innovation è in forte crescita: si stima che nel 2020 solo nel nostro Paese vi saranno destinati circa 30 miliardi di euro.
Quali sono gli esempi virtuosi di questo processo?
Sicuramente MBS Consulting di Andrea Rapaccini è un esempio da citare: è una società di consulenza che si rivolge sia alle aziende profit che agli enti non profit, e che aiuta ad introdurre e ottimizzare le pratiche sociali all’interno di queste realtà. L’obiettivo di questa azienda è quello di mostrare ai suoi clienti l’importanza di perseguire pratiche sociali oltre che concentrarsi sui profitti.
Altro progetto interessante è Banca Prossima di Marco Morganti, istituto che punta sull’erogazione di credito al terzo settore ma anche a soggetti pubblici o privati che vogliono realizzare progetti con valenza sociale: sono infatti la portata del progetto e il valore che si propone di generare in ambito sociale i criteri con cui si misura il merito creditizio.
Citiamo poi il Progetto Quid, cooperativa che ricicla i materiali scartati da aziende di moda e li utilizza per realizzare capi in edizione limitata, spesso su commissione di altre aziende che vogliono lanciare linee di abbigliamento ecosostenibili. La produzione dei capi è affidata a donne svantaggiate, quindi l’organizzazione genera valore sia in ambito ambientale che sociale.
Esistono poi dei cosiddetti Social Innovation Citizens: ad esempio Pietro Caramuta è un ricercatore che ha sviluppato un modello matematico-statistico per supportare le decisioni delle amministrazioni pubbliche e degli istituti di ricerca in ambito energetico e sostenere la loro pianificazione energetica a livello territoriale. Abbiamo poi Chiara Conti, giovane ragazza che ha creato un nuovo metodo di coltivazione “super-bio”, il quale permette di far crescere piante più salutari e sostenibili. Infine Giuseppe Liuzzi, fondatore del primo laboratorio di fabbricazione digitale in Basilicata che fa incontrare professionalità e bagagli culturali diversi nella filosofia dell’open source e dell’open hardware.
E tu sei interessato a diventare un Social Innovation Citizen o a perseguire progetti di innovazione sociale con la tua associazione? Faccelo sapere nei commenti!